Tra i tanti concetti che la cultura occidentale ha ereditato dal pensiero greco ce n’è uno in particolare su cui ci terrei a soffermarmi: la physis che potremmo sbrigativamente liquidare con natura. In realtà, si tratta di molto di più. I primi a definire meglio le caratteristiche di questa parola-archetipo furono i presocratici. Per Talete e i suoi successori la physis si configura al tempo stesso come complessità e armonia di relazioni e processi in cui ogni cosa, esseri umani compresi, sono profondamente coinvolti, implicati.
Per Pitagora addirittura, proprio in quanto parte della physis, ogni umano deve essere in grado di potersi mettere in suo ascolto, corrispondere al suo ritmo e assecondarla. Il filosofo di Samo invita dunque ad osservare la natura per conoscerla ed entrare in corrispondenza con le sue dinamiche.
È sulla base di questo approccio filosofico che la cultura classica, greca prima e romana poi, hanno modellato il proprio approccio scientifico, pratico ed economico alla natura nella prospettiva non di separazione, bensì di appartenenza, condivisione e scambio.
In poche parole, secondo un reciproco rispetto.
E’ grazie a questi presupposti che possiamo immaginarci la fascinazione che Bagnoli esercitò sullo sguardo ammirato dei greci, che, rapiti dalla bellezza naturale dei suoi luoghi, la ritennero una proiezione in terra dei Campi Elisi. Quel luogo incastonato tra Cuma, antica città e centro spirituale della Magna Grecia, e la viva Parthenope, fondata proprio dai Cumani, fu fin da allora una terra di mezzo, il luogo geografico intermedio tra sacro e profano.
Ad apprezzarla furono qualche secolo dopo anche i romani, i quali prediligevano le sue acque sulfuree e che per la generosità della natura di quei paesaggi, elessero Balneolis a luogo del ristoro dei loro corpi e delle loro anime.
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La magnificenza di quel lembo di terra dell’area fleglera fu in seguito decantata addirittura da Federico II di Svevia, che volle dedicargli un poema.
Nel rispetto del contesto ideologico con il quale i greci avevano connotato la physis, Bagnoli per secoli restò rappresentazione di armonia e corrispondenza tra esseri umani e natura.
Poi arrivò il ‘900 e l’Italia, giovane stato che aspirava ad esser potenza europea, aveva l’impellente esigenza di trasformare la zavorra economica e sociale del meridione in un moderno motore industriale e quindi economico.
Grazie alla legge per “Il risorgimento economico di Napoli”, nel 1904 si pose mano alla costruzione di uno dei più importanti stabilimenti siderurgici del continente. Comincia così il lungo e travagliato percorso della cosiddetta ”città del ferro”, a causa del quale si spezza quell’equilibrio tra uomo e natura a cui la physis greca aspirava.
Per quasi un secolo la storia dell’Ilva-Italsider di Bagnoli impronta di sé quella della Napoli operaia e produttiva, intrecciandosi con l’esistenza di migliaia di generazioni di lavoratori/trici e con i percorsi industriali italiani e non solo.
I processi dell’economia, le guerre mondiali, le lotte sindacali, il boom degli anni ’60, la speculazione edilizia ben analizzata dalle Mani sulla città di Rosi, scandiscono il sanguinoso ed accidentato viaggio degli stabilimenti bagnolesi, la cui lunga agonia comincerà all’alba dei primi ’70.
I governi dell’epoca non compresero che il declino delle industrie pesanti era ormai avviato e che, quindi, la strategia di investire pesantemente sugli impianti di Bagnoli sarebbe stata perdente. Ciechi rispetto all’evoluzione produttiva dell’epoca, si decise di scommettere su un ampliamento dell’Italsider e sull’incremento quantitativo della produzione, tralasciando invece la pianificazione di una innovazione tecnologica e di un ammodernamento degli impianti.
Se ci fosse stata lungimiranza, la scelta migliore in quel momento storico sarebbe stata quella di provare a ripristinare l’equilibrio tra natura ed esseri umani.
Tutte le ipotesi di riqualificazione di Bagnoli, sin dal giorno dopo lo spegnimento dell’ultimo forno, non hanno mai però realmente avuto come obiettivo quello di mettere la natura al centro, di ripristinare, anche se solo in parte, quella meraviglia paesaggistica che tanto affascinò i greci.
Ogni progetto ha sempre avuto solo un approccio antropico, adducendo come motivazioni quelle di dotare Napoli ed il suo hinterland di nuove potenzialità economicamente produttive.
Le domande che possiamo porci sono le seguente: per una città come Napoli ha senso continuare a perseverare nell’idea di cedere pezzi della propria identità in cambio di un’economia turistica caratterizzata da standard global? Siamo sicuri che questa strategia alla lunga non appiattirà l’immagine che Napoli potrà dare ai suoi visitatori?
È anche per questo che mi chiedo se la riqualificazione di Bagnoli debba passare solo ed esclusivamente attraverso la strategia della cementificazione del suo ambiente.
E, di nuovo, mi chiedo se la risposta ad una nuova vita di Balneolis possa essere un percorso di urbanizzazione con finalità esclusivamente turistiche, produttive ed economiche.
In questo discorso non può non rientrare anche il progetto di un nuovo stadio per il Napoli, che pochi giorni fa il presidente De Laurentiis ha proposto.
La realizzazione di un nuovo impianto per la squadra della città nell’area di Bagnoli, affinché non resti una cattedrale nel deserto, deve prevedere la creazione di infrastrutture, di trasporti, di strutture ricettive e ricreative. Lo stadio sarebbe solo uno dei tanti tasselli e forse nemmeno quello più problematico.
Credo che un primo passaggio, almeno preliminare, debba essere quello di ripensare totalmente da zero un nuovo futuro per l’area di Bagnoli, che tenga conto non soltanto degli aspetti produttivi ed economici.
Per fortuna la costruzione di un nuovo stadio a Bagnoli per quanto possibile è ad oggi altamente improbabile. Gli attori coinvolti sono tanti, troppi e a diversi livelli istituzionali. La gabbia burocratica è a maglie strette ed i tempi di realizzazioni vanno ben oltre quelli previsti dal presidente del Napoli.
Poi ci sono alcune esperienze fallimentari di tentativi di costruzioni di nuovi impianti in città similmente problematiche come Napoli. Il caso di Roma è paradigmatico e deve far scuola.
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Pertanto, le parole del presidente De Laurentiis rientrano nel gioco delle parti e hanno come obiettivo quello di smuovere lo stallo creatosi per la questione del Maradona. ADL sa che l’ipotesi di un impianto alternativo a quello attuale, creerebbe un problema al comune di Napoli. Senza le partite della SSC Napoli lo stadio di Fuorigrotta non avrebbe la possibilità di produrre risorse per la sua gestione e il suo mantenimento. Rischierebbe in poche parole di fare la fine del Collana. L’ipotesi stadio a Bagnoli è l’ennesimo tentativo del presidente di spingere l’amministrazione comunale a trovare una soluzione definitiva sulla cessione, anche solo temporanea, del Maradona in capo alla SSC Napoli. Ora l’unica cosa che ci resta da fare è capire fino a che punto i due attori vorranno spingersi, fino a quando vorranno entrambi tirare la corda.
Resta il fatto che le dichiarazioni di De Laurentiis hanno avuto il merito (non consapevole) di rimettere al centro dell’attenzione pubblica la questione dell’area di Bagnoli, sperando che finalmente gli uomini e le donne di oggi siano in grado di recuperare il lascito degli antichi.