Luciano Spalletti

Il 29 giugno 2024, l’Italia esce da Euro 2024 per mano della Svizzera. Una sconfitta netta, senza alibi, che avrebbe potuto segnare già allora la fine del ciclo azzurro di Luciano Spalletti. Ma così non è stato. In conferenza stampa, il CT difende il proprio operato: “Devo imparare in fretta. So cosa fare”, dirà davanti ai taccuini. E la Federazione, nonostante le critiche feroci, decide di confermarlo.

Quel giorno a Berlino, però, segna un punto di non ritorno. Perché da lì in poi l’Italia vivrà dodici mesi di montagne russe: picchi inattesi, illusioni fugaci, poi il crollo definitivo. L’8 giugno 2025, a Oslo, è una Norvegia travolgente a chiudere la partita e il ciclo: 3-0, un verdetto senza appello. La FIGC, questa volta, non conferma. E Spalletti, pur con amarezza, prende atto: “Io non avrei mollato, ma rispetto la decisione”.

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Parco dei Principi: la grande illusione

Eppure, c’è stato un momento in cui sembrava possibile un altro finale. Il 6 settembre 2024, a Parigi, l’Italia affronta la Francia nella prima giornata di Nations League. Sulla carta, una missione disperata. In campo, però, succede qualcosa di straordinario: sotto dopo un minuto per un gol di Barcola, gli Azzurri ribaltano tutto. Finisce 3-1, con reti di Dimarco, Frattesi e Raspadori. Una vittoria brillante, convincente, forse ingannevole.

Fu quella l’illusione più grande del ciclo Spalletti. Il segnale – si pensava – che il peggio fosse alle spalle. Che il CT avesse trovato la chiave. Che il nuovo modulo, la difesa a tre e un centrocampo fresco, potessero cambiare davvero il volto di una Nazionale in crisi d’identità.

Spalletti: il modulo giusto… troppo tardi

Tra le cause principali della disfatta europea, c’era anche un’incertezza tattica paralizzante. Difesa a tre o a quattro? Scelte che mutavano da partita a partita, lasciando i giocatori spaesati. Dopo Euro 2024, Spalletti abbandona gli esperimenti: punta sulla solidità, sceglie uomini affidabili, rafforza la retroguardia e inserisce mezzali più dinamiche come Tonali, Ricci e Rovella.

I risultati iniziano ad arrivare: travolgente vittoria contro Israele, successo a Bruxelles, un 2-2 contro il Belgio che lascia rimpianti. Ma quando si alza nuovamente il livello, l’Italia crolla di nuovo. A Milano, contro la Francia, arriva una lezione severa (1-3). Il primo posto nel girone sfuma. E l’incubo ricomincia a prendere forma.

Il cuore non basta: la fine in Germania

Nei quarti di Nations League, arriva la Germania. A Milano si perde, a Dortmund si pareggia 3-3. Ma è un pareggio bugiardo. Dopo un primo tempo da incubo, chiuso sotto 3-0, servono una doppietta di Kean e un rigore di Raspadori per rimettere tutto in parità. Un lampo di orgoglio, più che un segnale di rinascita.

E invece è proprio lì che si capisce come, al di là delle fiammate, l’Italia non abbia mai davvero trovato un’identità. Il ciclo Spalletti si sgonfia lentamente, con la sensazione sempre più marcata di essere tornati al punto di partenza.

Una lezione amara per tutti, soprattutto per Spalletti

Quando nell’estate del 2023 Spalletti prende le redini della Nazionale, l’entusiasmo è alle stelle. Viene da un capolavoro con il Napoli, uno Scudetto storico, e sembra l’uomo giusto per voltare pagina dopo l’addio improvviso di Roberto Mancini. In realtà, il ruolo da commissario tecnico si rivela molto diverso da quello dell’allenatore di club. Tempi ridotti, poche occasioni per incidere davvero. Lo ammette lui stesso, alla fine: “Non sono riuscito a tirare fuori il meglio dai miei giocatori”.

Ecco cosa resta, più dei risultati. Una riflessione sul peso e la difficoltà della panchina azzurra. Perché allenare l’Italia non è solo una questione di competenze tattiche. È anche gestione, adattamento, intuizione nei momenti chiave.

E ora? La Nazionale e il suo nuovo bivio

L’Italia, per la terza volta consecutiva, rischia seriamente di restare fuori da un Mondiale. Un’eventualità impensabile, che rende la scelta del prossimo CT cruciale. Al suo successore il compito – o forse il dovere – di riportare gli Azzurri dove meritano di stare: tra le grandi del calcio mondiale.

Luciano Spalletti lascia senza aver vinto, ma anche senza essersi mai davvero arreso. Il suo ciclo è stato breve, complicato, forse prematuro. Ma da queste macerie può ancora nascere qualcosa. Purché si scelga con lucidità. E soprattutto, senza più illusioni.

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