Questa mattina, sulle pagine del Correre dello Sport, Luciano Spalletti si è raccontato tramite una lunga intervista rilasciata a Ivan Zazzaroni. Tanti i temi toccati, ma non sono mancati ovviamente i riferimenti allo straordinario scudetto conquistato con il Napoli.
LEGGI ANCHE >>> Bruscolotti: “Gruppo in totale anarchia, da capitano avrei agito diversamente”
Spalletti: “A Napoli dopo il primo anno i miei collaboratori volevano andar via”
“Ho sempre deciso per me stesso. Il mestiere vuol dire 365 giorni di grande lavoro. Dopo il primo anno i miei collaboratori mi dissero ‘ma cosa restiamo a fare? Hanno venduto tutti’. Erano partiti Mertens, Koulibaly, Ghoulam, Ospina, Insigne, Fabian Ruiz. Tanta qualità. Io volevo sentirmi l’allenatore del Napoli e si è allenatori di una squadra soltanto se si fa qualcosa di effettivamente importante. Quando incontri De Laurentiis la prima cosa che ti dice è ‘secondi siamo già arrivati e dobbiamo stare sempre in Champions’. Messaggio chiaro e diretto. Così sono ripartito per ottenere quella cosa là, è successo, sarei potuto restare ancora, il grafico prestazionale l’avevamo portato al livello più alto”.
L’abbraccio con la tristezza
“Io la tristezza l’ho scelta e abbracciata lasciando Napoli dopo quella cosa là (lo scudetto). Sarebbe stato più facile e naturale andare avanti, lavorare con un gruppo che avevamo portato al top, godersi la felicità del momento, quella fatta provare alla gente di Napoli. Ho scelto la tristezza. Vedi, in fondo, a me è riuscito spesso di centrare l’obiettivo e quando lo centro vorrei tanto dare le spalle al mio divano, lasciarmi cadere all’indietro e fermarmi a guardare l’infinito, assaporando la felicità di chi ho reso felice”.
“Io non so allenare il cinismo”
“Io non so allenare il cinismo. Allenare per me significa voler bene al calciatore, saperlo difendere, aggiungergli qualcosa. Esiste il calciatore timido che non riesce a esprimere totalmente il proprio potenziale e allora intervengo con il lavoro. Al Napoli ne avevo un paio. Con l’esercizio cerco di portare il timido nella condizione ideale per alzare il livello del rendimento. Non riesco a fare niente in superficie. Il primo anno a Napoli vivevo in albergo, magnifico, mi portavano la colazione in camera. Poi ho piazzato il lettino nell’ufficio. Per non perdere un solo secondo, anche il più piccolo particolare, mi risparmiavo la mezz’ora di auto da Napoli a Castel Volturno”.
Sul rapporto con De Laurentiis
“Io ho due orecchie e una bocca. So ascoltare e al momento giusto parlare. De Laurentiis ha una grande comunicativa, un linguaggio scorrevole. E poi dipende sempre dal De Laurentiis che ti ritrovi di fronte, ne esistono almeno quattro o cinque. Con l’intelligenza artificiale potrebbero provare a inventarne altri”.