La prima Inter targata Cristian Chivu si apre con un pareggio che sa di cantiere aperto. Al Rose Bowl di Pasadena, i nerazzurri si fermano sull’1-1 contro il Monterrey nel debutto al Mondiale per Club, offrendo una prestazione a due volti: impalpabile e vulnerabile nella prima mezz’ora, reattiva e propositiva fino al pari, per poi spegnersi progressivamente nella ripresa. Un test utile più che spettacolare, che delinea i margini – ampi – su cui il nuovo allenatore dovrà lavorare.
Chivu, l’Inter e la strada dei piccoli passi
Per chi si aspettava una rivoluzione tattica immediata, l’esordio dell’ex difensore romeno è stato una doccia fredda. Ma non poteva essere altrimenti. Chivu ha scelto di ripartire dalla solidità del 3-5-2 ereditato da Simone Inzaghi, mantenendo intatto l’impianto di gioco e affidandosi a uomini già rodati.
Le uniche vere novità sono state l’inserimento di Asllani in cabina di regia – obbligato dall’assenza di Calhanoglu – e l’impiego di Salvatore Esposito in avanti. Una scelta prudente, figlia del poco tempo avuto per imprimere un’identità precisa. E il campo, in effetti, ha restituito un’Inter ancora ibrida: senza guizzi, ma neppure completamente smarrita.
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Difesa da registrare: l’errore costa caro
Il dato più preoccupante arriva dalla retroguardia. Se il goal di Sergio Ramos, arrivato su palla inattiva al 25’, è figlio di una marcatura errata, il problema sembra più profondo. La difesa nerazzurra non è più quel muro invalicabile che fu la colonna vertebrale dello Scudetto.
In quella circostanza, Acerbi si è fatto aggirare con troppa facilità, Bastoni è stato sovrastato e Sommer ha sbagliato completamente il tempo dell’uscita. Solo Pavard ha mantenuto una certa solidità, mentre il resto del reparto ha mostrato preoccupanti fragilità, soprattutto in campo aperto.
Chivu ha ammesso qualche intervento tattico, soprattutto nella gestione delle palle inattive, ma la sensazione è che servano innesti e idee nuove per restituire compattezza a un reparto in affanno.
Buona la reazione: Lautaro accende l’Inter
Dopo lo svantaggio, l’Inter ha avuto il merito di cambiare marcia, salendo di tono e di intensità. Il baricentro si è alzato, il pallone ha cominciato a girare con più convinzione e la squadra ha trovato il meritato pareggio con Lautaro Martinez al 42’, bravo a finalizzare una bella azione rifinita da Carlos Augusto.
Non solo il gol: il primo tempo si è chiuso con una manovra più fluida, diversi tentativi verso la porta messicana e la sensazione di poter ribaltare il match. Una reazione che testimonia un gruppo presente, motivato, che non ha mollato mentalmente.
Il secondo tempo delude: calo fisico e idee annebbiate
Il vero limite dell’Inter di Chivu, almeno per ora, resta la tenuta fisica e mentale. Nella ripresa i nerazzurri hanno progressivamente abbassato i giri, perdendo lucidità nelle scelte e ritmo nella costruzione. Il Monterrey ha alzato il muro e ha sfiorato il colpaccio in ripartenza, complice una retroguardia spesso sbilanciata.
Chivu ha parlato di “poca fame sotto porta”, ma ha anche riconosciuto le buone intenzioni e la voglia di costruire. Il problema è che, senza energie, anche le idee migliori restano sulla lavagna. E in un torneo a eliminazione, i margini di errore si assottigliano.
Inter, da chi ripartire: le note liete del debutto
Oltre a Lautaro – tornato al gol e in crescita –, meritano una menzione Carlos Augusto, autore dell’assist e tra i più intraprendenti sulla corsia sinistra, e Mkhitaryan, che ha chiuso la gara da trequartista offrendo equilibrio e visione.
Saranno loro, insieme alle certezze del gruppo storico, le basi su cui Chivu dovrà costruire il suo progetto tecnico, a patto di imprimere col tempo un’identità precisa e un respiro nuovo.
Tempo e coraggio per crescere
Il pareggio contro il Monterrey non è un dramma, ma un promemoria severo. Serve tempo, certo, ma anche coraggio. Coraggio per cambiare, osare, rinnovare. Cristian Chivu ha aperto il suo percorso sulla panchina dell’Inter con realismo e consapevolezza. Ora, però, servirà alzare l’asticella. Il Mondiale per Club non aspetta. E nemmeno l’Inter.
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