Sul canale YouTube di Napolità è in uscita la video intervista in tre episodi realizzata da SalvatorePengue a Cristian Bucchi, ex giocatore del Napoli – tra gli autori della promozione in Serie A – e allenatore. Tra le sue esperienze più importanti ci sono state quella a Benevento e Sassuolo: “Ci sono state diverse stagioni buone, ho fatto tanta gavetta. Quella col Benevento è stata un’ottima stagione, ma un rammarico – insieme a Perugia – tra i più grandi. Siamo arrivati a giocarci le semifinali playoff e se vediamo degli episodi in entrambe le sfide, ci rendiamo conto di quanto la storia di un club, una società venga indirizzata. Eravamo la squadra che giocava il miglior calcio e l’avremmo meritato. Ma ‘this is the football’”.
ESPERIENZA A SASSUOLO – “Una parentesi irrinunciabile. Avevo 40 anni ed ero molto entusiasta di arrivare in Serie A, ma avevo un grande dubbio: la squadra veniva da 5 anni consecutivi con Di Franesco, vengo contattato e mi chiedevo se la squadra riuscisse ad uscire un po’ dagli schemi. Un gruppo coeso, sempre la stessa squadra da anni, per me era un aggravante. L’età era quella di osare e mi sono buttato. In quest’avventura, gli unici nuovi erano dei giovanissimi: Scamacca, Rogerio, Frattesi, Pierini, Raspadori era in Primavera, ci allenavamo quando facevamo partite amichevoli”.
RASPADORI – “Quando facevamo Prima Squadra contro Primavera, lui faceva l’attaccante. Qualche volta faceva anche la seconda punta o trequartista. Cercavano, a volte, di renderci facile la sfida a noi, ma si vedeva il guizzo e lo strappo nelle gambe. Faceva già ben sperare”.
POLITANO – “A Sassuolo aveva l’eterno problema: Domenico Berardi. In quel periodo, purtroppo Berardi ci fu poco, aveva giocato l’Europeo U21, arrivò in ritardo, era fuori condizione, stette fermo un po’ dopo vari infortuni, quindi l’ho avuto poco. Matteo sono riuscito ad utilizzarlo, in parte, da esterno, ma un giorno abbiamo giocato in maniera diversa e l’ho utilizzato da seconda punta. A lui piace meno, ma da quella posizione è più imprevedibile”.
LEGGI ANCHE > >> ESCLUSIVA – Bucchi: “Marino telefonò Reja davanti a me: mi ha deluso”
Bucchi e De Zerbi: una grande amicizia e la ‘sfida’ Napoli
Cristian Bucchi e Roberto De Zerbi sono stati compagni di squadra proprio a Napoli. I due hanno condiviso gioie e dolori della maglia azzurra e sono rimasti, negli anni, in ottimi rapporti: “Sono stato a Brighton a trovarlo. Alle spalle c’è una struttura di match analyst che sembra il Grande Fratello (ride, ndr). All’allenatore servono solo le cose che servono, ovviamente. Non bisogna abusarne, certo, ma nel 2024 la tecnologia è uno strumento che aiuta l’allenatore, ma non devono condizionarlo. Roberto è un allenatore eccezionale, una persona fantastica, un ragazzo che ho conosciuto a Napoli, davvero per bene, una persona entusiasta, noi l’abbiamo sempre definito ‘il pazzerello’. Dove lo troveremo? Spero dove sarà felice. Mi ha raccontato la storia di quando è venuto a Brighton, quando ha fatto un meeting a Londra, hanno tirato fuori delle statistiche dei miei calciatori nelle varie squadre, evidenziando i miglioramenti. Il fatto che cercassero lui – e non un allenatore che facesse girare bene la squadra – l’ha reso felice. Una società snella, ma professionale. Il suo percorso andrà o avanti al Brighton oppure in un posto dove troverà questo tipo di condizioni”.
DE ZERBI A NAPOLI – “Lo escluderei. In generale, in Italia, questo tipo di dinamiche cui mi riferivo – in particolare di perdere serenamente – non esistono. C’è un senso di serenità, di andare allo stadio non per vincere per forza, perciò i giocatori non hanno paura di sbagliare, l’allenatore osa, questo è cane che si morde la coda. In Italia non si dà credibilità a idee, progetti, dopo 5-6 giornate si condannano già gli allenatori: tra Serie A, Serie B e Serie C c’è un continuo ricambio di allenatori. Se un giorno sentirà il desiderio di tornare in Italia e affrontare una sfida, Napoli può essere la sfida più bella che possa fare. Racconto un retroscena: lui arrivava da Catania e io da Modena. Andammo in ritiro e lui cantava sempre Gianni Celeste, mi ha raccontato che aveva degli amici che gliene facevano sentire”.
CHE TIPO DI ALLENATORE È CRISTIAN BUCCHI – “Non cambio in base all’avversario. Oggi, gli allenatori nel 2024 non possono essere fissati col sistema di gioco. La cosa importante è far capire ai giocatori cosa si vuol fare e imparare a capire loro, le loro caratteristiche e farli rendere al meglio. L’allenatore bravo, quello che aiuta la squadra, è quello che mette i giocatori in condizione di poter rendere. Noi italiani siamo stati bravissimi, eravamo figli dei sistemi di gioco, le squadre si costruivano a coppie. Oggi si va verso un calcio che si è trasformato tantissimo. Gli allenatori non allenano più per codifiche, ma il giocatore gioca per situazione e lo riesce a fare attraverso un match analyst che capisce ciò che un allenatore vuole fare. Una volta l’allenatore faceva tutto lui, siamo figli di un calcio che è più complesso dentro al campo, ma molto semplice al di fuori, dove poche figure serie e sane riescono a fare bene il calcio”.
GIOVANI IN ITALIA – “Diciamo sempre ‘largo ai giovani’, ma per me Raspadori – ad esempio – non è un giovane. A 24 anni, non possiamo definirlo giovane. I giovani sono dai 17 ai 20 anni. Da 20 a 25 sono età in cui i calciatori devono già esprimersi. Dopo i 32-33, si va verso un’altra direzione. All’estero c’è la serenità di far giocare 2004-05 sereni, in Italia c’è il timore di bruciarli. Perché? Se sono bravi, facciamoli giocare. Sbagliano, sì, se li mettiamo fuori li bruciamo. Ci vuole una serenità di fondo che non abbiamo”.