Elementi di economia secondo ADL

DiPietro caturano

6 Marzo 2024
ADLADL (@ilBiancoNero)

Non c’è alcun dubbio che ogni conferenza stampa o intervista di De Laurentiis alla fine sia sempre un evento divisivo. È un personaggio che non ama essere banale e, in un’ambiente come quello calcistico dove l’insipidità dei contenuti è spesso il carattere preponderante, il presidente della SSC Napoli suscita idiosincrasie e bruciori di stomaco.

La sua annunciata presenza al summit del Financial Times sul business applicato al mondo del calcio ha ovviamente fatto venire l’acquolina in bocca a tutti i suoi detrattori (praticamente l’intero parterre dei giornalisti napoletani e non solo), fiduciosi di un ennesimo momento di memorabile sbracamento comunicativo del buon Aurelione.

E invece con gran disappunto di molti, abbiamo assistito ad un’intervista breve e dai contenuti davvero interessanti, almeno per quelli di buona volontà che abbiano saputo intercettarli.

E già, perché ADL, al netto di alcune divagazioni che ne connotano il personaggio, ha tenuto un piccolo seminario di economia. Il passaggio più intrigante è stato quando rispondendo alla domanda sulla presenza sempre più dominante dei fondi finanziari nel calcio italiano e mondiale, il presidente ha fatto una coincisa ma esaustiva differenza tra il concetto di economia e quello di finanza.

Alzi la mano chi, a causa di una inesatta narrazione dei media e degli esperti di questi ambiti, non sovrapponga le due scienze, spesso confondendole l’una con l’altra.

Per fortuna ci ha pensato il presidente del Napoli a fare un po’ di chiarezza e a ricordarci che l’economia (dal greco oikos, casa, e nomos, legge, e che sta ad indicare appunto l’amministrazione dei beni di famiglia) è la scienza che banalmente si occupa di gestire le risorse destinate alla produzione, distribuzione, scambio e consumo di beni che devono soddisfare i bisogni delle comunità, con il minimo dispendio di ricchezza e energia. Ecco, semplice e lineare. L’obiettivo dell’economia è proprio questo, il benessere della società che passa attraverso il corretto utilizzo di risorse. Dunque ne deriva da ciò che l’economia stessa è il motore dello sviluppo scientifico e tecnologico e ovviamente sociale di ogni collettività.

La finanza, ci dice il buon Aurelione, è altro. E allora cosa è? È una disciplina che si occupa di studiare i flussi di denaro e di determinare di volta in volta gli strumenti per accumularlo.

La domanda sorge spontanea. Quindi a differenza dell’economia, la finanza non ha impatti sulla società? Certo che li ha, ma in un modo spietato e apatico. Non serve andare troppo indietro nel tempo per capirlo. Ad esempio, quando le borse internazionali sono in salita uno si aspetterebbe un miglioramento della vita della collettività in termini di maggiori ricchezze e risorse. E invece no. Seppur i mercati tocchino i loro massimi storici, i salari restano fermi al palo. Al contrario, un crollo globale delle borse avrebbe delle ricadute drammatiche (vedi annus terribilis 2008) sull’economia mondiale.

In buona parte De Laurentiis lo accenna durante l’intervista, quando dice che da una parte c’è lui che si occupa di economia in qualità di imprenditore e dall’altra ci sono i fondi finanziari. Da un lato c’è qualcuno che concretamente produce economia, cioè cose, dall’altro c’è chi si preoccupa di fare gli interessi degli azionisti e della produttività economica poco gliene cale.

Insomma, la solita contrapposizione tra concreto ed effimero. In fondo, il buon Keynes ce lo disse tanto tempo fa, facendoci notare che le quotazioni di un’azienda non dipendano dal suo bilancio o dalla sua crescita materiale, ma dall’immagine di sé che sa dare e raccontare (è il marketing, baby!).

In pratica già all’inizio del ‘900 Keynes ci spegava che quel che conta per i mercati finanziari è il modo attraverso il quale ti mostri esternamente, non cosa produci, non il tuo progetto. Friedman, altro economista del secolo scorso, ammetteva che all’azionista importi solo dell’azienda come marchio, immagine, potremmo dire logo, e non degli operai che la fanno progredire e dei dirigenti che la guidano.

E proprio a questi aspetti fa riferimento De Laurentiis quando parla dell’importanza del progetto per fare impresa, perché è solo attraverso la solidità e validità di quest’ultimo che si possono trovare risorse necessarie poi a produrre concretamente e fare economia, nel calcio come in altri settori.

L’alternativa a questa via è solo quella a cui fa riferimento nel libro terzo del Capitale un altro economista, Marx, che temeva il formarsi (come poi è avvenuto) di una nuova aristocrazia finanziaria, una nuova categoria di parassiti nella forza di escogitatori di progetti, di fondatori e di direttori semplicemente nominali. Appunto, nominali. Di nuovo la contrapposizione tra concreto e fittizio.

Nelle parole di De Laurentiis al summit del Financial Times ci va letta anche la difficoltà per un imprenditore nel doversi confrontare su un terreno di battaglia che prevede dall’altra parte dello schieramento forze (quelle dei fondi) che giocano con regole diverse e a maglie troppo larghe.

La chiosa finale di Aurelione è però quella più succulenta, perché è sintesi di quanto detto finora. 

“I fondi non ci capiscono niente di calcio” – dice il presidente con un sorriso beffardo.

Ed è così, ai fondi finanziari non interessa sapere come si sviluppa un software, come si produce una brugola, quale è il processo di realizzazione di un abito pret-à-portè, come si pianifica una stagione calcistica. La parola progetto risulta noiosa ai fondi. A loro la ricchezza reale non interessa affatto. Basta pensare che la finanza ha da anni superato il PIL mondiale. Il suo è un gioco a somma zero, come direbbero quelli studiati. Ma d’altra parte la parola finanza deriva dal latino fines, ovvero scopo. E tutti sappiamo quale sia questo obiettivo. Nel caso, chiedete a De Laurentiis.

PIETRO CATURANO

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